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Tossicodipendenza: oggi più facile la terapia a domicilio

Con l’associazione buprenorfina / naloxone si può contrastare l’uso improprio e il mercato clandestino dei farmaci per trattare la dipendenza da oppioidi. Un’indagine dimostra che già ora tre pazienti su cinque si curano a domicilio. Dall’affido terapeutico benefici per pazienti e medici.

Roma, 9 giugno 2008 - Da oggi l’affido terapeutico, cioè la possibilità per il personale sanitario addetto ai Servizi per la Tossicodipendenza (Ser.T.) di consegnare ai pazienti una quantità di farmaco sufficiente ad autogestire la terapia per un certo periodo di tempo, è una pratica più agevole. E’ quanto deriva dalla disponibilità di un nuovo farmaco le cui caratteristiche contrastano appunto la possibilità di un suo uso improprio, rendendo così questa modalità terapeutica più sicura e praticabile. Il nuovo farmaco è un’associazione fissa di buprenorfina e naloxone in rapporto 4:1, in forma di compresse sublinguali, nella quale il secondo componente fa sì che l’eventuale iniezione endovenosa del primo produca effetti spiacevoli, non rispondendo alle attese dei tossicodipendenti.

In Italia c’è un largo consenso da parte del personale sanitario addetto ai Ser.T. verso l’affido terapeutico. Questa indicazione deriva da un’indagine – i cui risultati sono stati presentati nel corso di una conferenza stampa – condotta da GfK Eurisko su 186 Ser.T. italiani allo scopo di conoscere il loro orientamento verso questa pratica assistenziale. Un primo dato evidenziato dallo studio è che, già ora, i farmaci sono affidati in media al 60 per cento circa dei pazienti, anche se per periodi relativamente brevi.

L’analisi dei dati mostra comunque in materia notevoli disomogeneità regionali: Sicilia, Emilia Romagna e Sardegna sono le Regioni che “affidano” di più, mentre Marche/Umbria, Campania e Lazio sono ben al di sotto della media nazionale e questa scelta fino ad oggi è stata talvolta condizionata anche dal timore che i farmaci consegnati in affido avrebbero potuto alimentare il mercato clandestino o essere oggetto di uso improprio; di particolare importanza il fatto che quasi la metà dei medici intervistati dà un giudizio molto positivo sulla possibilità di consegnare un farmaco in affido.

«Fondamentali i benefici attribuiti all’affido, che oggi è consentito fino a 30 giorni» rileva Isabella Cecchini, direttore del Dipartimento Ricerche sulla Salute di GfK Eurisko: «la risocializzazione, il ritorno a una vita normale, la possibilità di trovare o mantenere un’occupazione, di costruire una relazione di fiducia tra medico e paziente. Non ultimo il vantaggio, per il medico e per i Ser.T., di alleggerire il carico di lavoro per concentrare le risorse sui casi che richiedono maggiore attenzione».

L’indagine ha proposto anche alcuni interessanti elementi dal punto di vista del paziente: nella sua percezione, l’affido è infatti vissuto come un premio, un “regalo di fiducia” associato a importanti effetti positivi di tipo psicologico, pratico e relazionale. «Di fatto, è un’opportunità per il tossicodipendente di affrancarsi dall’immagine deteriorata di sé e avere dalla vita una seconda possibilità: di fronte a se stesso e di fronte agli altri» conclude Isabella Cecchini.

Un ulteriore aspetto positivo dell’affido è stato rilevato da un addetto ai lavori quale Claudio Leonardi, direttore dell’Unità operativa complessa Prevenzione e Cura Tossicodipendenze e Alcolismo, Ser.T. ASL Roma C: «Si tratta di una tipica caratteristica “geografica” del mercato nero della droga. Purtroppo la vendita delle sostanze d’abuso, come l’eroina, ma anche di quelle terapeutiche oggetto di “diversione”, come il metadone, si sviluppa spesso proprio in prossimità dei Ser.T., esponendo il tossicodipendente al contatto ad alto rischio con gli spacciatori e rendendolo vittima potenziale di situazioni che, invece, potrebbe evitare assumendo la terapia a domicilio e poi restando a casa o andando al lavoro, come accade a chi conduce una vita “normale”».

Lorenzo Somaini, dell’ASL 12 Piemonte, Servizio Tossicodipendenza e Alcologia, Ser.T. 2 Cossato (BI), ha approfondito la valutazione della nuova associazione dal punto di vista farmacologico: «L’associazione buprenorfina / naloxone offre un vantaggio decisivo, perché proprio la sua particolare formulazione ne disincentiva il misuse endovenoso. Già buprenorfina sola ha ottime qualità: da uno studio condotto qualche anno fa in Francia, emerge che, a parità di pazienti trattati, i decessi da metadone – tuttora largamente impiegato nel trattamento sostitutivo – sono 6-7 volte superiori a quelli da buprenorfina. Tale differenza dipende dal fatto che buprenorfina, essendo un agonista parziale, ha un buon profilo di sicurezza e i soli decessi a essa attribuiti in Francia sono ascrivibili alla sua associazione con benzodiazepine, utilizzate entrambe per via endovenosa. E’ chiaro che un farmaco contenente buprenorfina, ma non iniettabile per via endovenosa perché associato a un’altra molecola come naloxone (che nel caso di somministrazione endovena produce un grave discomfort), abbatte ulteriormente il rischio di decesso, già molto limitato con buprenorfina sola».

E consente anche un sensibile risparmio: «Uno studio pubblicato l’anno scorso sulla rivista Addiction ha cercato di quantificare il beneficio offerto dalla terapia sostitutiva con buprenorfina / naloxone» ha aggiunto infatti Somaini, «registrando un consistente risparmio già con l’affido settimanale rispetto all’accesso quotidiano ai Servizi». In proposito, va rilevato che un’analisi economica recentemente effettuata dallo stesso Somaini in collaborazione con altri esperti ha dimostrato che l’accesso quotidiano ai Servizi costa in media 1.500-1.600 euro l’anno per paziente, mentre se l’accesso è limitato a una volta al mese, il costo si abbatte a 50-60 euro.

Lorenzo Mantovani, Direttore della ricerca al Centro di Farmaeconomia CIRFF dell’Università di Napoli “Federico II”, ha approfondito il confronto tra i costi della terapia sostitutiva con la sola buprenorfina e con la sua associazione con naloxone. «L’analisi costo-utilità mostra una situazione di dominanza economica del farmaco di associazione nei confronti della sola buprenorfina» ha spiegato lo studioso. «Ciò significa che, rispetto a quest’ultima in monoterapia, la sua associazione fissa con naloxone riduce i costi a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN) e, nel contempo, migliora la qualità di vita dei pazienti. Intraprendere un trattamento con buprenorfina / naloxone anziché con la sola buprenorfina determina un risparmio annuo per il SSN superiore a 650 euro per paziente trattato. Il principale generatore di tale risparmio è costituito dal ridotto tasso di supervisione richiesto dai pazienti trattati con il farmaco di associazione, grazie all’effetto protettivo esercitato da naloxone sul rischio di “diversione”. La riduzione del tasso di supervisione favorisce e anticipa il recupero del paziente alle attività abituali e migliora la sua qualità di vita».