Carlo Fornari

GHERARDO SEGARELLI UOMO DEL POPOLO

Non è certo facile contribuire ad illustrare la personalità e l'opera di Gherardo Segalello, parlando assieme a tanti illustri relatori che lo hanno studiato a lungo, che continuano ancora ad approfondire il suo messaggio religioso, filosofico morale.

Per questo, ritengo che il mio ruolo debba limitarsi alla testimonianza di uno scrittore, di un biografo, che ha affrontato moltissimi personaggi fra quali la bellissima Giulia Farnese concubina di Papa Alessandro VI Borgia, la mite Maria Luigia Duchessa di Parma, il grande, poliedrico Federico II di Svevia Stupor Mundi. e che un bel giorno ha incontrato proprio Gherardo Segalello: un frate sconosciuto ai più, controverso in letteratura come molti di coloro che in ogni secolo - e non solo nel Medio Evo - hanno voluto affrontare argomenti di politica e di religione, urtando chi manovra le leve del potere.

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Sei o sette anni fa, forse di più, stavo svolgendo uno studio - che poi è diventato un libro - sui movimenti religiosi a Parma nel Medio Evo. Consenso e dissenso, ovviamente: ma, vista la situazione, più dissenso che consenso in un periodo indubbiamente critico per la Chiesa di Roma, in una città che ha spesso manifestato degli accentuati atteggiamenti libertari.

Era il momento che anticipava di pochi mesi la lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, nella quale Giovanni Paolo II per la prima volta parlava - cito testualmente - di "metodi di intolleranza e persino di violenza" adottati dai ministri della Chiesa "nel servizio della verità".

Gli argomenti per articolare compiutamente un libro non mancavano; e tutti affascinanti, succosi. Il Basso Medio Evo fornisce spesso allo storico delle imprevedibili soddisfazioni: iniziano ad essere disponibili parecchie fonti scritte, molte pubblicate, ma allo stesso tempo non mancano i particolari da scoprire, o quanto meno da interpretare.

C'erano due antipapi: Cadalo Onorio II, l'irriducibile sostenitore della causa germanica contro Roma, ed il grande Guiberto dei Giuberti Clemente III, cancelliere dell'Impero e primo collaboratore di Enrico IV, il Re di Franconia protagonista del famoso incontro sulla rupe di Canossa con il Pontefice Gregorio VII ospite dalla Principessa Matilde. C'era poi un illustre frate, Giovanni Buralli da Parma, settimo Generale dei Francescani, un Beato poco noto al grande pubblico, che ha illuminato quasi mezzo secolo di storia religiosa, ambasciatore in Oriente presso la Chiesa ortodossa e consigliere di quattro Papi. Ricordo di non aver trattato con il necessario approfondimento fra Salimbene de Adam da Parma perché avrei dovuto dedicargli troppe pagine senza poter dire nulla di veramente nuovo. Non ultimo un eretico: Gherardo Segalello, l'unico personaggio che non avevo ancora studiato in modo approfondito.

Fino a quel momento su Gherardo Segalello mi ero limitato a leggere le pubblicazioni recenti più diffuse, quelle che girano nelle librerie: poche, a dire il vero, e tutte improntate ai giudizi forniti da Salimbene nella sua Chronica. Il cronista francescano è un indispensabile punto di riferimento per chiunque affronti i fatti del XIII secolo ma può essere compreso solo conoscendo la cultura letteraria medievale non solo cattolica. Egli apparentemente non inventa mai nulla di sana pianta; ma interpreta tutto a favore delle proprie tesi, della causa dell'Ordine e della Chiesa romana, al punto da giungere spesso a pesanti compromessi con la verità.

Da tutte la pagine che avevo letto usciva un personaggio sotto certi aspetti simpatico ed estroso; ma, se esaminato nella sua veste di religioso, di predicatore impegnato a diffondere la divina novella, sarebbe stato una via di mezzo fra il pazzo esaltato ed il commediante: un guitto, se non addirittura un imbroglione, capace di utilizzare la veste religiosa per imprese poco rispettabili. Oggi parrebbe uno di quegli attori secondari, di quelle comparse, di cui è piena la società medievale, tanto distante dalla nostra mentalità pragmatica e razionale.

Per completare la galleria dei personaggi del libro ci mancava davvero poco. Sarebbe stato sufficiente che mi unissi al coro; che accettassi la versione di tanta dotta, secolare letteratura, senza por mano a tante sottigliezze o critiche delle fonti che rappresentano spesso delle enormi perdite di tempo. In fondo, era quello che il pubblico si attendeva, che la critica avrebbe accolto con maggiore benevolenza. Il più delle volte al mondo, anche nell'ambiente della cultura, l'importante è parlare, parlare, senza mai cambiare niente: i pareri diversi turbano degli equilibri, impongono dei procedimenti di revisione lunghi, scomodi, sempre maledettamente sgraditi ai più.

All'atto pratico, però, al momento di scrivere, mi sono sorti dei forti dubbi. Ho pensato: come poté uno stolto, un sempliciotto, avere tanto seguito popolare; come poté immolarsi sul rogo dopo anni di processi e dopo aver attirato tanta furia persecutoria da parte di vescovi ed illustri personaggi della Curia. Di solito il popolo è ingannato dai truffatori, non i semplici; sul rogo si immolano gli idealisti, non i profittatori; difficilmente contro uno stolto ignorante si sono mobilitati gli eserciti agguerriti dell'Inquisizione.

E' vero che la storia è colma di potenti che hanno forzato la verità per avere ragione dei nemici più deboli; ma questa volta davvero si erano superati i limiti.

E allora, iniziando a rileggere criticamente le fonti, le accuse, mi sono accorto di tante contraddizioni che meritavano di essere evidenziate per riportare se non la storiografia - sarebbe stata questa una imperdonabile presunzione - almeno una parte della critica su un binario di maggiore logica ed obiettività.

La cultura, quindi gli atteggiamenti, del Medio Evo, sono ovviamente distanti anni luce dai nostri e possono essere interpretati solo con un elevato sforzo di immedesimazione: un'attività questa che significa raccontare e fornire giudizi solo dopo avere almeno tentato di entrare nei personaggi, nella cultura, nella mentalità del tempo.

Tutti gli storici che non sono ciecamente di parte sanno che le fonti medievali richiedono un'esegesi, un'analisi critica molto particolare; nemmeno le lettere encicliche pontificie più note ed eleganti possono essere accettate nel loro semplice aspetto immediato. Questo per non essere tratti in inganno da sottili polemiche, da partigianerie, da fatti ignoti, o anche semplicemente dai simbolismi di cui era intrisa la letteratura non solo religiosa.

La cosa non deve meravigliare: basti pensare agli sforzi che attendono i nostri discendenti, quando vorranno, fra molto meno di ottocento anni, decifrare i discorsi pronunciati nel nostro peggiore politichese!

Occorre meditare su ogni situazione, discuterla, confrontarla con altre analoghe; come in un normale processo, prima di trarre delle conclusioni ci vuole sempre la prova e la controprova. E quando questa non esiste, si deve ricorrere alla logica, al buon senso, che più o meno attraverso i secoli sono rimasti inalterati.

E se questo sforzo si compie per i grandi personaggi ad iniziare da Francesco d'Assisi fino a Girolamo Savonarola, non vedo perché non si debba fare altrettanto a favore dei personaggi finora considerati minori, per ricondurli ad una dimensione più reale. Anche se il compito è aggravato dal fatto che paradossalmente oggi possiamo conoscere e studiare gli eretici solo attraverso i documenti lasciati dagli uffici dell'Inquisizione, scritti dai monaci che sono stati i loro più irriducibili nemici.

Di mano in mano che proseguivo gli approfondimenti, che iniziavo a leggere le opere di Rino Ferrari, gli studi pubblicati dal Centro Studi Dolciniani. mi convincevo di dover seguire un filone certamente non nuovo, ma meritevole di ulteriori importanti approfondimenti.

Guardare Gherardo Segalello con occhi diversi da quelli di una certa storiografia - chiamiamola tradizionale - significava contribuire ad un processo di revisione, a porre un piccolo tassello sulla difficile strada che conduce alla più corretta conoscenza dei fatti.

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Esaminare a fondo la figura di Gherardo Segalello non è stata un'impresa facile. Ci sono voluti mesi di studio, mettendo sul conto gli inevitabili errori, le ipotesi di lavoro scartate, i dubbi di vario genere. Alla fine devo ammettere di essere stato colpito dalla sua profonda spiritualità: il frate amava davvero Cristo, la povertà, si sentiva un apostolo. Aveva un modo di concepire la fede tutta medievale, che poco si discostava da quella di Francesco d'Assisi anche nelle espressioni, nelle abitudini della vita quotidiana, nelle comunicazioni con il popolo.

Entrambi cercavano di attirare l'attenzione dei fedeli incolti ricorrendo alla teatralità, agli atteggiamenti giocosi. E Ghirardo indubbiamente uomo sanguigno, estroverso, oggi si direbbe un padano, deciso ad arrivare dappertutto, superava certo i limiti che oggi non sarebbero accettati dalle convenzioni più correnti, ma che ai suoi tempi erano delle normali tecniche di comunicazione.

Contrariamente ad altri, era di una spiritualità naturale, autentica, e, diciamolo pure, molto popolare. In lui si vede la forza della fede non filtrata da convenzioni, da interessi curiali, da istinto di potere.

Da qui a contestare il comportamento della Chiesa il passo fu breve. Gherardo Segalello fu uno dei tanti eretici che hanno costellato il XIII secolo, ma si comportò in modo un po' diverso da molti altri.

Pur non essendo avido di potere, egli creò un'organizzazione senza accettare compromessi; introdusse nuovi rituali, propose prima d'altri innovazioni nei comportamenti conventuali come ad esempio l'accettazione delle donne. Era tutto fuorché ignorante come si volle far credere!

E' chiaro che in quel momento la Chiesa romana - impegnata più che mai a reprimere il dissenso perseguitando chi criticava il comportamento dei suoi ministri anche più indegni o accusando di eresia chi predicava il vangelo senza il consenso delle autorità diocesane - non poteva tollerare una simile incomoda presenza.

L'Inquisizione, non potendo o non volendo combattere il frate parmense sul piano morale, lo ha prima distrutto come uomo facendolo passare per un insano di mente, un esaltato, un rivoluzionario, contestandogli atteggiamenti che pure erano stati di santi; poi, quando ha dovuto prendere atto della sua eroica irriducibilità, lo ha sommariamente processato e consegnato al braccio secolare per essere arso sul rogo.

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Siamo in periodo di profonda revisione critica nei confronti di molti letterati, scienziati, religiosi, in precedenza considerati eretici. Ma se desideriamo veramente la rappacificazione religiosa, o, come si dice oggi, ecumenica, oltre a porgere delle scuse è necessario che iniziamo a ricostruire quello che in passato è stato distrutto. E Gherardo Segalello è uno dei personaggi che consentono di iniziare un proficuo lavoro.

L'impresa non si presenta facile perché impone di compiere dei passi qualificanti, che attendono ormai da secoli.

È necessario prima di tutto aprire davvero gli archivi, far conoscere alle gente, ai fedeli, la realtà dei fatti. Gli archivi ammuffiti dei vescovadi, dei monasteri, dei palazzi romani. non avranno certo il materiale per soddisfare tutte le esigenze di conoscenza degli studiosi, ma nascondono ancora troppe cose.

E' necessario quindi iniziare a leggere, a decodificare, ad interpretare correttamente i documenti, liberi da quello spirito di parte che a volte facilita la dialettica e l'indagine, più spesso allontana la rapida, corretta visione degli avvenimenti.

Io sono certo che la realtà può recare delle sorprese: la vita di tutti i giorni, oltre che la storia, ci ha insegnato che la ragione non sta mai da una parte sola. Sarà un odioso luogo comune, ma troppo spesso si rischia di dimenticarlo.

La verità può contribuire se non altro a ridurre le distanze fra quanti, dopo otto secoli, si ostinano ancora ad emettere sciocche sentenze di condanna seguendo la triste linea persecutoria iniziata da Salimbene de Adam e quanti, certo in buona fede, possono incorrere nella eccessiva mitizzazione del personaggio.

Sia ben chiaro che Gherardo Segalello non ha bisogno, non deve essere perdonato: semmai sono gli eredi diretti dei suoi aguzzini - perché è fuori dubbio che tali sono stati i suoi nemici - che devono finalmente implorare il suo perdono.

Ma difficilmente ciò avverrà; perché Gherardo Segalello è un personaggio umile, non è di quelli che fanno cassa di risonanza, che attirano l'attenzione delle masse. Non è un Girolamo Savonarola, un Galileo Galilei, un Giordano Bruno. E poi, conoscendolo, certo non gradirebbe alcun riconoscimento postumo.

Ogni forma di riabilitazione, anche la più sincera, suonerebbe per lui, ormai fuori delle diatribe terrene, come una inutile, amara cerimonia curiale. Ora gli basta il ricordo della gente, dei fedeli anche più umili, simili a quelli che ha tanto amato, fino a compiere l'estremo sacrificio.