Pubblicata in un libro la ricerca internazionale sui costi economici, sociali e istituzionali della corruzioneFra le attività più antiche dell’umanità, figura, a pieno titolo, anche la corruzione. “Anche” perché è curioso constatare come, molti dei vizi attuali, trovano radici profonde e remote nei caratteri stessi di una evoluzione che, evidentemente, ha modificato ogni ambito all’infuori di talune coscienze. Le pulsioni peggiori, infatti, sono talmente connaturate nell’individuo, da resistere immutate attraverso epidemie, epoche, governi e rivoluzioni.
Tra queste, appunto, la corruzione. Che presenta senza dubbio apprezzabili aspetti di democrazia: è praticabile in qualsiasi condizione economica, dato che non attiene unicamente al denaro. Può trovare compimento tanto nei settori pubblici quanto in quelli privati. E non discrimina tra popoli, razze o religioni.
La corruzione, inoltre, riesce quasi sempre a far coincidere la domanda con l’offerta, e tutti sappiamo quanto sia difficile, al giorno d’oggi, soddisfare le esigenze del mercato.
Sono proprio questi elementi a differenziare la corruzione da altri reati (come il furto, per esempio, o l’estorsione o la truffa), per i quali si prevede che una delle due parti debba soccombere all’altra, suscitando effetti incontrollabili, quali: reazioni violente, vendette o denunce. Il fatto è che il morbo della corruzione, nelle forme meno invasive, si propaga facilmente, anche attraverso casuali e rapidi contatti. E si manifesta in piccoli privilegi, contraccambiati da semplici favori: una raccomandazione, una pratica accelerata, una lista d’attesa scavalcata e così via. Gesti consueti, all’ordine del giorno e in apparenza innocui. Che però legittimano un vizio: una generale convinzione che “una mano lava l’altra” (anche se poi tutt’e due, paradossalmente, restano sporche). E, questo, anche laddove si negoziano affari ben più importanti e strategici, che alterano equilibri di mercato, industriali, sociali, finanziari e politici.
La corruzione però, oltre a causare dannosi sconquassi, determina anche ragguardevoli costi, che non preoccupano sicuramente i protagonisti. Ma che, quando riguarda faccende d’interesse comune, gravano sul prezzo del prodotto finito o sul carico del compito svolto. Cosicché, a farne le spese, è la collettività. Sono i cittadini.
Si tratta dunque di un diffuso malaffare, che occupa uno spazio rilevante tra le voci di bilancio delle aziende o delle istituzioni che hanno responsabili o dipendenti disonesti. Voci ovviamente omesse dai libri contabili. Ma effettive, inaccettabili e illegittime.
E qui il discorso si fa necessariamente serio. Ogni qualvolta le scelte o le funzioni, o i beni e i servizi, oppure le risorse destinate al pubblico, infatti, sono condizionati da trattative disoneste, da rapporti falsati, da una concorrenza sleale o inquinata da fattori esterni, tutti noi ci troviamo, nostro malgrado, a pagarne un costo indebito, non solo in termini materiali ma anche morali.
E, proprio su questi aspetti, si è fondata la paziente e accurata analisi di due economisti di valore e credito internazionale, Marco Arnone e Eleni Iliopulos, pubblicata nel volume dal titolo “La corruzione costa”, appunto, presentato e discusso, di recente, nell’Aula consiliare di Palazzo Isimbardi e con l’autorevole contributo di Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, magistrati della Corte di Cassazione. Gabrio Forti, docente presso l’Università Cattolica di Milano. Pier Carlo Padoan, rappresentante della Fondazione Italianieuropei. E di Vito Tanzi, rappresentante dell’Inter-American Development Bank. A coordinare il confronto e il dibattito, David Lane, prestigioso corrispondente dell’Economist.
Le ragioni di ospitare a Palazzo Isimbardi un simile evento, sono state diverse. Ma la principale ha riguardato e riguarda il ruolo dei rappresentanti delle istituzionale, che prevede non solo il rigore nelle procedure e nei comportamenti, ma anche l’offrire un contributo di comprensione e quindi di maggiore attenzione e di controllo verso ogni sintomo del malaffare. Perché, come disse qualcuno, il complice della corruzione è spesso la nostra stessa indifferenza. E, un altro motivo, è stato quello di sottolineare l’ipocrisia, dimostrata spesso in certi ambienti, riguardo ad un fenomeno così diffuso. Ipocrisia riassunta in modo efficace nella battuta “vorrei meno corruzione o, se non altro, più occasioni di parteciparvi”.
Per saperne di più» Vicepresidente Alberto Mattioli